Stiamo con i Sauditi o con l’Iran?


Giovanni Biava, Ernesto Gallo

Con chi sta l’Occidente? Iran o Arabia Saudita? Per anni il governo di Tehran è stato descritto come un ‘mostro’, nemico di libertà e democrazia e fondato su un potere teocratico. Il successo dei negoziati sul nucleare di Losanna ha però improvvisamente aperto nuove prospettive. Naturalmente Israele non è d’accordo, ma non lo è neppure l’Arabia Saudita, che da anni è impegnata in uno scontro egemonico con l’Iran in Medio Oriente e a cui l’Occidente ha in fondo ‘perdonato’ sempre tutto, incluso un regime assoluto che è probabilmente persino più autoritario di quello iraniano.
Al contrario, l’Occidente non ‘ringrazia’ l’Iran, che, con l’azione della Guardia Rivoluzionaria del generale Suleimani, sta contribuendo in modo decisivo alla battaglia contro l’Isil e ha contribuito alla liberazione di Tikrit. Forse perché l’Occidente stesso (e suoi alleati, come Arabia Saudita, Turchia e Qatar) ha responsabilità non indifferenti nella creazione di quel vero ‘mostro’ chiamato Isil? Tra l’altro, l’Iran sarebbe un partner commerciale e industriale di non poca importanza. Nonostante sanzioni che, nel caso Usa, durano in sostanza dalla rivoluzione del 1979, l’economia iraniana è ancora tra le prime venti al mondo, almeno in termini di Parità dei Poteri d’Acquisto (Ppa). È ben noto poi come Tehran sia un attore chiave sui mercati energetici, e uno dei massimi detentori mondiali di riserve di gas e petrolio; seconda per gas naturale solo alla Russia, e terza (dopo Venezuela e Arabia Saudita) per il petrolio. I maggiori partner commerciali dell’Iran sono Cina, India, Turchia, gli Emirati Arabi Uniti, la Corea del Sud; perché l’Occidente dovrebbe continuare a chiamarsi fuori e al contrario fare affari con l’assai discutibile monarchia saudita?
La Casa di Saud ricevette la benedizione di Franklin D. Roosevelt nel 1945, in un famoso incontro sull’incrociatore Quincy; un incontro che gettò le basi di una relazione davvero speciale tra la superpotenza democratica e una monarchia assoluta e promotrice della radicale ideologia Wahhabi. Da allora, non sono mancati i momenti di tensione; all’epoca di Re Faisal, troppo vicino alle cause palestinese e pan-islamica e assassinato nel 1975 da un nipote in arrivo dagli Stati Uniti; e naturalmente dopo l’11 settembre, che è ancora avvolto da mistero. Eppure la strana alleanza continua, nonostante il sostegno di Riyadh, più o meno occultato anche dai media occidentali, a diversi gruppi e forme di radicalismo islamico. Gli Al-Saud governano in co-operazione con il clero Wahhabita, nel nome di un patto che data addirittura al 1744, e si pongono quali campioni dell’Islam sunnita sia per tener fede a questo patto (e mantenere stabilità in Arabia), sia per contendere all’Iran sciita l’egemonia del Medio Oriente. I profitti del petrolio e immense spese militari aiutano la monarchia a ‘comprare’ il sostegno di una classe media sempre più giovane e in costante crescita demografica. Quanto pero’ tutto cio’ può durare? Per quanto gli Usa e l’Europa continueranno ad accettare di fare affari con uno stato che l’Economist considera il settimo meno democratico al mondo? Quanto Ryadh continuerà a esercitare il proprio potere di ricatto nei confronti di Washington, nel silenzio di un’Unione Europea che non riesce a darsi alcuna indipendenza energetica? 
Nelle ultime settimane, l’Arabia Saudita si è lanciata nell’operazione Decisive Storm, volta a riportare ordine nello Yemen martoriato da anni di guerra civile e sempre più controllato dalle milizie sciite Houthi, che si ritiene siano sostenute da Tehran. Gli Usa sono rimasti a guardare, a parte il consueto sostegno logistico e d'intelligence. È un segno di un cambiamento di attitudine? L’Unione Europea (oltre naturalmente a Russia, Cina e una Onu sempre più debole) si è schierata a favore del dialogo. Gli altri paesi del Golfo hanno seguito i sauditi, ma neppure all’unanimità. L’Oman del Sultano Qaboos mantiene la propria elegante equidistanza tra Ryadh e Tehran; gli Emirati hanno fatto una scelta non facile, considerata l’importanza delle loro relazioni commerciali con l’Iran. Il Pakistan si è contraddistinto ancora una volta per una serie di dichiarazioni e smentite, che testimoniano del caos istituzionale di un paese che ha spesso agito da braccio armato proprio dell’Arabia Saudita. 
E dire che l’idea di una forza armata pan-araba era stata lanciata poche settimane fa dal presidente egiziano al-Sisi, con l’obiettivo cruciale di combattere il fondamentalismo e agire su scala regionale contro minacce jihadiste e lo stesso Isil (http://www.theguardian.com/world/2015/mar/29/arab-leaders-agree-to-form-joint-military-force-to-combat-jihadis-in-region). Quanto però peserebbe la finanza saudita su un’iniziativa di questo genere? Al-Sisi ha finora fatto scelte interessanti, ed è in ottimi rapporti con Putin, che lo scorso 10 febbraio è stato accolto al Cairo da trionfatore. Riuscirà a restituire all’Egitto quel ruolo di stabilizzatore che il paese aveva all’epoca di Mubarak e a rilanciare un’economia che ambisce a entrare nel cerchio dei Brics, magari proprio con il supporto di Mosca?
Poi c’è il problema turco. Erdoğan sta costruendo un sistema sempre più autoritario e fondato sulla propria immagine. Una sonante vittoria Akp alle elezioni del prossimo 7 giugno potrebbe dargli una legittimazione fortissima a continuare su una strada che assomiglia sempre più a una ‘democrazia’ non-liberale, simile in alcuni aspetti all’esperienza di paesi ex-sovietici e dell’Asia orientale. Un sistema che, non si dimentichi, è stato tristemente elogiato anche da leaders europei come l’ungherese Viktor Orban. Eppure il sistema-Turchia ha fondamenta fragili e nasconde un mare di problemi, dal rapporto civili-militari alla questione curda alle relazioni Turchia-Armenia di cui si è tornato a parlare in questi ultimi giorni. Ankara inoltre è al centro di grandi progetti energetici sui quali è diventata un ottimo interlocutore di Mosca.
Abbiamo lasciato fuori Israele. Anche così, il quadro mediorientale resta terribilmente problematico. Riuscirà l’Occidente a uscire dalla dipendenza saudita e davvero riavvicinarsi all’Iran? Riusciremo a tornare a fidarci dell’Egitto, un tempo interlocutore chiave nei rapporti con Israele? Riusciremo a non perdere la Turchia, già pilastro della Nato nella regione? E soprattutto: riuscirà l’UE a esprimere una politica autonoma e attenta ai propri interessi, che non sono gli stessi degli Usa? Sono domande dalle risposte difficili, che dovremo dare con un’idea di fondo: tutti gli interlocutori menzionati sono importanti; sceglierne uno, ad esempio Riyadh, a scapito di altri, sarebbe segno di miopia e debolezza.

Giovanni Biava, consulente per energia e gas presso Repower SpA; Ernesto Gallo, Academic Tutor al Kaplan International College, Londra
- See more at: http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/stiamo-con-i-sauditi-o-con-liran-13251#sthash.VlG9QoXi.dpuf

Commenti