Considerazioni sul primo maggio


di RENATO MAFFEI

ATTENZIONE: questo articolo non rappresenta la linea editoriale di questo blog, ma è solo uno spunto per la riflessione 



La ricorrenza del primo maggio, festa del lavoro, ci induce a svolgere queste brevi considerazioni.

Non vogliamo entrare in merito alla giustezza o meno della suddetta festa (come si può festeggiare qualcosa di cui la maggior parte delle persone farebbe volentieri a meno, è un qualcosa che non abbiamo mai capito…), ma elaborare in questo breve scritto la deriva pseudo moralistica che ha posto e che pone (naturalmente solo a livello culturale e non economico…), il dipendente sopra un piedistallo.
Diciamo questo in quanto, basta ascoltare una qualsiasi rete televisiva o i discorsi di un qualsiasi politico, o esaminare le leggi in merito e si noterà come il lavoratore dipendente (soprattutto dobbiamo dire del settore pubblico), viene ad essere quasi considerato una persona aliena da errori e che pretende ed ottiene diritti che oggettivamente ne fanno di lui un privilegiato.
Non vi è pellicola, film, documentario ove il datore di lavoro, l’imprenditore, non venga raffigurato nella maggior parte dei casi come una sorta di orco malefico e l’operaio o il  dipendente in genere, invece (meglio se sindacalizzato…) come un eroe che lotta contro lo sfruttamento e per la dignità dell’umanità.
L’attacco contro tutto ciò che è personalità, forma, passa anche e soprattutto dalla spoliazione della proprietà privata e dalla distruzione culturale e anche legislativa di quest’ultima e della piccola e media impresa, ultimo riflesso nel divenire empirico, nella realtà del concetto di proprietà. D’altronde la creazione di un immenso proletariato, senza arte ne parte, senza razza, senza nazionalità, senza religione, che non sia quella dei cosiddetti diritti umani e/o della possibilità di godere a piacimento del proprio corpo, insomma, la creazione di un meticciato razziale e spirituale senza  forma e dignità è la meta finale del potere mondialista.
A livello economico questo comporta la distruzione dell’attività artigianale (la piccola impresa ne è l’ultimo riflesso) onde pervenire ad un mondo dominato dalle multinazionali ove non vi sarà posto per l’individuo, per la persona, ma solo vi sarà posto per masse amorfe sempre  più proletarizzate, per il cittadino del mondo asessuato, senza religione e senza razza.
Se noi pensiamo al boom economico italiano, tipico della fine degli anni '50 e l’inizio degli anni '60, vediamo che il nerbo di questo avanzamento era costituito dalle piccole imprese, soprattutto del nord Italia, le quali avevano al massimo una decina o poco più di dipendenti. Non vi era allora la legislazione sul lavoro attuale, non vi erano tutti gli obblighi di legge a cui deve sottostare un’impresa e che rendono oggi impossibile lo sviluppo dell’attività economica in Italia. A partire dagli anni '60 abbiamo la progressiva distruzione compiuta dallo stato attraverso l’opera legislativa della piccola e media impresa (obblighi fiscali, leggi assurde tipo articolo 18 che non prevedono licenziamenti ecc.) e il progressivo proletarizzarsi della mano d’opera la quale diventa antagonista e non più collaborazionista verso il datore di lavoro, la sua sindacalizzazione e il suo pretendere diritti sempre più assurdi che porteranno man mano molte imprese a chiudere, a vendere alla multinazionali o a spostare la propria attività in paesi, in nazioni più libere.
Inoltre vediamo come negli anni '60 si assiste (soprattutto grazie all’opera dei governi di centro sinistra) alla progressiva burocratizzazione della stato e alla sua crescita spasmodica, la quale porterà alla  creazione delle regioni, delle comunità montane, delle province, delle circoscrizioni: in una parola creerà tutta una serie di enti, organismi, i quali nella stragrande maggioranza dei casi saranno un deterrente allo sviluppo economico. Non a caso si avrà una ripresa economica in Italia, solo negli anno '80, quando le masse lavorative  tenderanno a desindacalizzarsi e verranno meno quei regolamenti tipo la scala mobile che oggettivamente statalizzavano e ingessavano l’economia.

Vediamo anche come l’elefantiaca crescita dello stato porterà a costi (il cosiddetto debito pubblico), impressionanti per lo stato italiano stesso: si  assisterà al divenire, al formarsi di una burocrazia tipica di uno stato comunista- ove una persona anche per costruire un pollaio in giardino deve chiedere il permesso allo stato: dove è, ci chiediamo noi, la libertà di poter disporre della propria proprietà?- senza però i benefici (scuola gratuita e servizi primari gratuiti) tipici invece di uno stato comunista o per fare un esempio attuale della Cuba nazionalcomunista e/o del Venezuala bolivariano.

Avremo così a partire dagli anni '60 la progressiva crescita anche del numero di persone (pagate con i soldi di coloro i quali avevano aperto un’attività commerciale o dei lavoratori dipendenti attraverso il prelievo forzoso tributario), che lavorano per lo stato o per enti parastatali quali ad esempio Alitalia, ferrovie dello stato ecc.
Pochi sanno che costoro non possono essere mai licenziati .Una volta che una persona viene ad essere assunta dallo stato o da un ente parastatale diventa una sorta di intoccabile, illicenziabile. Noi pensiamo che l’unica vera riforma che potrebbe portare un po’ di ossigeno all’economia italiana sia quella di chiudere, destrutturare tutti quegli enti pubblici e parastatali che rappresentano solamente un debito per lo stato che viene per di più pagato e mantenuto da quelle aree geografiche, da quelle persone che lavorano veramente.
Non è possibile che vi siano in certe regioni italiane più infermieri che pazienti o che le persone che lavorano per enti parastatali e/o per lo stato direttamente, ammontino a circa un terzo della popolazione: gli stipendi di costoro vengono ad essere pagati dalle piccole e  media imprese,  situate, per lo più, in altre zone d’Italia le quali si vedono sottrarre dallo stato  attraverso le  tasse-circa il 60 % degli utili. Non è possibile continuare a tenere in vita carrozzoni burocratici i quali perdono milioni di euro ogni  giorni e il cui bilancio viene risanato con i soldi sottratti alle imprese o ai lavoratori del settore privato.
Purtroppo notiamo come il lavoratore dipendente del settore privato invece che solidarizzare con il proprio datore di lavoro, strangolato dallo stato, solidarizza con quei lavoratori nulla facenti che occupano i posti pubblici. La situazione è sotto gli occhi di tutti per quanto riguarda il pubblico: uffici occupati dagli amici degli amici in cui invece di lavorare si passa il tempo a chiaccherare o a leggere il giornale o altrimenti industrie parastatali ove gli operai sindacalizzati lavorano e producono circa un terzo o al massimo la metà di quanto fanno i loro colleghi delle imprese private. Non basta  lavorare  e/o recarsi sul luogo di lavoro: bisogna anche produrre.
La progressiva sindacalizzazione dei lavoratori ha portato anche alla creazione di un ceto sindacale composto oramai da circa un milione di persone il quale ha lo scopo di curare gli interessi dei lavoratori….naturalmente avendo lavorato solo pochissimi anni della propria vita per diventare un rappresentante dei lavoratori!
Oggettivamente se un ente è inutile deve essere smantellato, chiuso e coloro i quali vi lavoravano (o per meglio dire, percepivano lo stipendio..) dovrebbero essere licenziati e non posti ad esempio (qua parliamo delle imprese a partecipazione statale) in cassa integrazione o reinseriti con altre mansioni (naturalmente improduttive e inutili): il tutto naturalmente facendolo pagare attraverso le tasse a quelle imprese e a quei lavoratori dipendenti  veramente produttivi e/o utili all’economia nazionale .
Come dicevamo  all’inizio questo meccanismo diabolico non fa altro che far chiudere le imprese e distruggere quel tessuto economico imprenditoriale che era il nerbo dell’Italia. Se un’impresa privata oggi subisce una tassazione del 60 % è anche e sopratutto per pagare gli stipendi a quei milioni di lavoratori statali che non dovrebbero essere chiamati lavoratori, ma solo privilegiati che fondamentalmente rappresentano la parte peggiore di questa nazione.
La distruzione delle imprese, la creazione di un immenso proletariato, l’emergere di una casta di lavoratori statali (in Italia ammontano a milioni) non licenziabili non è che un passo verso la progressiva distruzione di tutto ciò che è personalità, che è forma.
Uno dei peggiori difetti del Fascismo fu la creazione di una burocrazia, di una serie di enti statali e parastatali (anche se allora avevano una loro funzione essendo l’economia fascista di tipo corporativa con una forte direzione dello stato) si è riproposto in maniera esponenziale nell’Italia democratica nata dalla resistenza: naturalmente questi enti son diventati il luogo dove  i fannulloni trovavano e trovano il loro stipendio.
Per capire quello che vogliamo dire basta osservare la situazione di una qualsiasi università privata –ove vi sono meno lavoratori-e una qualsiasi università pubblica, la situazione di una qualsiasi fabbrica pubblica e la situazione di una qualsiasi fabbrica privata. Da una  parte regna  il caos, la mancanza di responsabilità, di ordine, dall’altra invece troveremo ordine, pulizia, gerarchia.
Lo stessi discorso vale per gli ospedali pubblici in confronto alle cliniche private: se un lavoratore sa che non potrà mai essere licenziato tenderà, per forza di cose a lavorare poco, ad avere ritmi lavorativi levantini: insomma a non sentirsi come una parte viva e cosciente della struttura lavorativa stessa, ma tirerà solamente  a campare cercando di fare il meno possibile.
In un qualsiasi ufficio  pubblico non si sa mai di chi  è la responsabilità quando vi è un errore: perché un dipendente pubblico se sbaglia non può essere licenziato? E' giustizia questa? O invece si tratta di un privilegio assurdo?
Noi vediamo  purtroppo in questa italietta democratica nata dalla resistenza  come il principio di responsabilità  praticamente non esiste e a pagare sono solo quei datori di lavoro o quei dipendenti delle imprese private  i quali- chiudendo queste ultime per l’esosa tassazione e il groviglio di leggi inerenti alle imprese e al mondo del lavoro-vengono ad essere licenziati.
Il problema come spiegavamo precedentemente è che un’impresa stante la pressione fiscale è obbligata a chiudere !(1); chiediamoci a cosa serve questa pressione fiscale: solamente a mantenere, a dare uno stipendio  non meritato a milioni di lavoratori pubblici i quali oggettivamente sono il freno amano tirato di questa nazione.

 1) L’unica alternativa che ha l’impresa se non vuole chiudere è quella di eludere o di sottrarsi al pagamento delle tasse: notiamo come oggi il cosidetto evasore venga ad essere additato dalla parte improduttiva del paese come una sorta di nemico del popolo.

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