Recensione: Franco Cardini, L'invenzione dell'Occidente

Franco Cardini, L'invenzione dell'Occidente, Il Cerchio, Rimini 2004
In un libro che uscì una decina d'anni fa, Noi e l'Islam, Franco Cardini affrontava, sia pure in maniera marginale, la questione del concetto di Occidente e del suo rapporto con l'identità europea, questione sulla quale egli ritorna adesso con un altro libro, intitolato per l'appunto L'invenzione dell'Occidente.
Già nel primo di questi due libri viene stabilito che "il concetto di Occidente è relativamente nuovo e sembra di per sé inscindibile da quello di 'modernità'". Da ciò il lettore può logicamente dedurre che i tentativi di nobilitare l'Occidente individuandone le radici nell'antica Grecia, nella civiltà romana o nella cristianità latino-germanica sono ingiustificati e illegittimi. Una cultura come quella greca, che non produsse soltanto il razionalismo sofistico dal V sec. a. C. e l'atomismo democriteo ed epicureo, ma si espresse anche e soprattutto nei Misteri, nella teologia di Eschilo e di Pindaro, nella metafisica di Platone, nel neoplatonismo teurgico e mistico, non può essere seriamente presentata come antesignana della modernità, che è, Weber docet, "disincanto del mondo". Un discorso analogo vale per Roma, la cui civiltà si basa su quanto vi è di più irriducibile alle esigenze della modernità: ossia sull'identificazione dell'ambito religioso con quello giuridico e politico. Dell'"Occidente" medioevale, poi, non dovrebbe essere neanche il caso di parlare, perché la modernità comincia la sua marcia trionfale allorché esso muore.
Ma il termine "Occidente", prima ancora di richiamare una certa visione del mondo, rappresenta una nozione di tipo geografico e spaziale. Ebbene, qui deve essere posta in evidenza una realtà elementare, che la cultura diventata egemone nell'ultimo sessantennio ha teso a stravolgere e ad oscurare. Sarebbe sufficiente osservare il planisfero di un qualunque atlante geografico, per rendersi conto che l'occidente della geografia terrestre coincide con il continente americano e con le acque oceaniche che lo circondano. L'Europa, quindi, non è Occidente, in quanto si trova nell'emisfero orientale ed è parte integrante di quell'unità continentale che si chiama Eurasia. Se l'Europa ha un rapporto di continuità naturale con altre parti del mondo, queste non sono dunque le Americhe, ma l'Asia e l'Africa. Tutto questo, Cardini non lo dice esplicitamente, ma lo fa pensare al lettore ponendo un interrogativo di questo genere: "Ma l'equatore è davvero una linea divisoria anche in termini di cultura e di economia - e di potere - più netta del meridiano atlantico che separa il continente europeo da quello americano?" Contemporaneamente egli ci dà un'informazione alquanto interessante in relazione alla visione americana della geografia terrestre: "negli Stati Uniti vengono ormai da decenni pubblicati atlanti nei quali il centro del mondo è rappresentato dal Pacifico (…) mentre l'Eurasia figura lontana, periferica, schiacciata alle pareti laterali della proiezione ovale".
A buon diritto perciò Cardini afferma che "si è riusciti ad enucleare un concetto in apparenza univoco di 'Occidente' solo a patto di passar sopra alle grandi sintesi eurasiatiche e mediterranee, quali quella avviata da Alessandro Magno e che da almeno il I secolo a. C. fu assunta a fulcro delle scelte politiche e culturali dell'Impero romano". Ecco dunque messa a nudo la truffa di coloro i quali, come Luttwak o Toni Negri, vorrebbero spacciare l'Occidente atlantico e americanocentrico come il successore dell'Impero Romano (mentre, semmai, l'Occidente è erede della mercantile e talassocratica Cartagine). Al contempo Cardini ci ricorda che i "grandi spazi" imperiali dell'antichità ebbero, da Alessandro ad Attila, una dimensione eurasiatica, così come eurasiatico fu, ancora nell'età moderna, il grandioso edificio imperiale degli Ottomani, i quali subentrarono ai Cesari bizantini e ne divennero eredi.
Ma quest'ultimo argomento porta al tema specifico del primo saggio di Cardini, il quale si chiede testualmente: "si può davvero parlare a cuor leggero di una 'estraneità' o di una 'opposizione tra Europa e Islam'?" Se non bastasse il richiamo storico all'Europa ottomana, ecco le argomentazioni dello stesso Cardini: "non dobbiamo dimenticarci che la Spagna è stata per buona parte musulmana tra l'VIII e il XV secolo e che la Sicilia lo è stata tra il IX e l'XI". Ma esiste ancora oggi un Islam europeo, del quale l'autore si limita a menzionare le comunità più consistenti: "in Albania, in Bosnia, nella Repubblica Federale Russa, nella Turchia 'europea' (si notino le virgolette, le quali inducono a pensare che l'Autore non concordi con la diffusa opinione che esclude dall'Europa i territori situati oltre il Bosforo e i Dardanelli, n.d.r.); vi sono musulmani discendenti da immigrati o da convertiti del tempo delle dominazioni turco-ottomana o tartara dell'Orda d'Oro". A questo Islam autoctono se ne aggiunge un altro di nuova formazione: "gli immigrati in cerca di lavoro dai vari paesi musulmani e, infine, alcuni euro-occidentali (e anche euro-orientali, n.d.r.) convertiti di recente".
La risposta al quesito contenuto nel titolo del libro ("Un incontro possibile?") viene implicitamente fornita laddove l'autore, dovendo citare fenomeni storici esemplari di convivenza franca e cordiale" tra comunità diverse, evoca l'impero mongolo, la Spagna musulmana e il Sultanato musulmano di Delhi. Ma Cardini non si limita ad auspicare un incontro fra musulmani e cristiani, né si appiattisce sull'abusato schema postconciliare del "dialogo" interconfessionale; egli allarga l'incontro anche ai "laici di buona volontà". Chi sono costoro? Una cosa è certa: in Europa sono quei "laici" che non si riconoscono nel fondamentalismo occidentalista.
Nel volume di recente edizione, pubblicato dieci anni esatti dopo Noi e l'Islam, sono stati riuniti alcuni saggi aventi relazione col tema della genesi della nozione di "Occidente", una nozione che, avverte l'Autore, è una delle "più infide e scivolose", tanto più che essa tende a diventare assoluta e metastorica. L'abbondante documentazione raccolta dal noto medievista ci mostra ancora una volta come il concetto di Occidente sia relativamente nuovo, al punto da diventare inscindibile da quello di modernità. "È problematico - scrive Cardini - il sostenere l'esistenza effettiva di un'identità 'occidentale', il proporne l'alterità o magari la complementarità rispetto a una 'orientale' e magari l'identificare sia pur più o meno imperfettamente il concetto di Europa con quello di Occidente". Eppure, soprattutto nella cosiddetta Europa occidentale si è tentato di far coincidere i due termini, definendoli attraverso il confronto con l'Oriente (ieri comunista, oggi islamico, domani probabilmente cinese).
A questo Occidente, identificato in maniera abusiva e truffaldina con l'Europa, si sono volute attribuire antiche radici, che servissero a nobilitarlo: e sono state trovate nella Grecia antica e nella Cristianità medioevale e moderna. Naturalmente, questa operazione genealogica ha richiesto che venissero sottaciuti o minimizzati tutti quegli eventi storici che, nell'antichità e nel Medioevo e anche in seguito, hanno volta per volta rappresentato una sinergia greco-persiana, o un'alleanza germano-turanica, o un incontro fra Cristianesimo e Islam, o una assunzione del patrimonio imperiale bizantino da parte ottomana. Simultaneamente, il pregiudizio occidentalista ha cercato di oscurare lo scenario politico di tali eventi, che tendeva puntualmente ad assumere più o meno estese dimensioni eurasiatiche.
Per contro, l'"invenzione dell'Occidente" ha comportato che venisse esagerata l'importanza di tutto ciò che può esser presentato come un aspetto dello "scontro di civiltà" all'interno dell'Eurasia e che venissero trasformati in fatti epocali, forniti di significato "mitico" e fondante, episodi di scarso rilievo storico quali Poitiers o Lepanto.
L'"invenzione dell'Occidente", secondo la diagnosi fatta da Cardini, ha forse il suo momento iniziale allorché papa Pio II elabora la tesi per cui "l'Europa era propriamente la sede - patria e domus - della Cristianità (…) e pertanto si poteva stimare cristiano chiunque fosse ritenuto europeo". E viceversa. Lo schema ideologico tracciato da Enea Silvio Piccolomini mirava in tal modo ad escludere dall'Europa ad usum Delphini quell'impero ottomano che, insediatosi a Costantinopoli, aveva raccolto l'eredità della Roma d'Oriente e costituiva il polo imperiale di un'Europa che il papato voleva invece soggetta a sé.
E a questo punto deve esser fatta notare una cosa curiosa, che, se mai ve ne fosse bisogno, depone a favore dell'onestà professionale dello storiografo Franco Cardini: è proprio lui, studioso di matrice cattolica, a operare questa demistificazione e a consentirci di individuare la matrice squisitamente guelfa della posizione di quanti, da posizioni cattoliche, laiche o… "pagane", rifiutano oggi di riconoscere alla Turchia il suo carattere europeo.
Con la scoperta del continente nuovo e la nascita della potenza nordamericana, l'idea di Occidente si aggiorna. Di più: l'idea contemporanea di Occidente nasce proprio "dal pensiero politico statunitense su una linea tesa dal Jefferson al Monroe proprio per differenziarsi dall'Europa; anzi, addirittura contro l'Europa". L'occidentalismo statunitense ha avuto la fortuna di ricevere man forte da quei teorici europei dell'Occidente che hanno teorizzato, prima di Huntington, l'esistenza di un continuo, necessario e insopprimibile "scontro geostorico" con l'Oriente. A segnare le fasi storiche di tale scontro, secondo l'ideologia occidentalista, sarebbero "le guerre greco-persiane, quindi le contese tra romani e parti, poi quelle tra sasanidi e bizantini, e ancora l'offensiva musulmana dei secoli VII-X fino al Maghreb e alla Spagna, e poi la Reconquista e le crociate, e successivamente la tensione tra l'Europa moderna e l'impero ottomano".
Le fasi contemporanee dello "scontro di civiltà" preconizzato dagli occidentalisti sono "l'affermazione colonialistica delle potenze europee in Asia, quindi la 'guerra fredda' che secondo alcuni si potrebbe considerare la terza guerra mondiale, infine oggi quella che l'amministrazione Bush ha definito dopo l'11 settembre 2001 la war against Terror e che qualcuno ha proposto di identificare con la quarta guerra mondiale".
O come l'ultima crociata.


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